IL PALLONE
di Donald Barthelme
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Il pallone, dopo aver preso origine in un certo punto della
Quattordicesima Strada, la cui esatta posizione non
posso rivelare, si dilatò durante la notte verso nord, mentre
la gente dormiva, fino a raggiungere il Parco. Là lo feci
fermare; all’alba i bordi settentrionali stazionavano sopra
il Plaza; il movimento in sospensione libera era lieve e
gentile. Ma avvertendo un vago senso di disagio all’idea
che dovesse fermarsi, anche al fine di proteggere gli alberi,
e non essendoci inoltre alcuna ragione per cui al pallone
non fosse concesso di dilatarsi verso l’alto, sia pure su
quelle parti della città che già copriva, su verso lo “spazio
aereo” raggiungibile, dissi ai tecnici di provvedere in tal
senso. Questa ulteriore dilatazione ebbe luogo in mattinata,
leggero impercettibile sospirare di gas attraverso le
valvole. Il pallone arrivò quindi a coprire quarantacinque
isolati in direzione nord-sud e una zona irregolarmente
delimitata da est a ovest, perfino sei vasti isolati su entrambi
i lati dell’Avenue, in alcuni punti. Questa era la situazione,
allora.
Ma non è esatto parlare di “situazioni”, con ciò alludendo
a determinati complessi di circostanze che portano
a una certa soluzione, a un certo calo di tensione; non c’erano
situazioni vere e proprie, c’era semplicemente il pallone
sospeso lassù – toni spenti, grigi scuri e marroni più
che altro, contrastati da morbidi gialli dalle sfumature
brune. Una voluta mancanza di rifinitura, resa anche più
evidente dalla perfezione delle strutture portanti, dava alla
superficie un aspetto grezzo, quasi trasandato; all’interno
un sistema di pesi scorrevoli, calcolati al milligrammo,
ancorava la vasta massa multiforme a un certo numero
di postazioni fisse. Ora, è vero che ci sono state centinaia
di idee geniali per ogni tipo di mezzo espressivo,
opere di bellezza davvero singolare e allo stesso tempo
autentiche pietre miliari nel corso della storia del gonfiaggio,
ma in quel momento c’era solo quel pallone, concreto
specifico, sospeso lassù.
Ci furono delle reazioni. Alcune persone trovarono il
pallone “interessante”. Questa pareva reazione inadeguata
all’immensità del pallone, alla repentinità della sua
apparizione sulla città; d’altra parte, in assenza d’isterismo
collettivo o d’altra forma di agitazione sociopsicologica,
la si deve giudicare una reazione serena, “matura”.
Ci fu all’inizio una discussione non trascurabile intorno
al “significato” del pallone; si acquietò presto, tuttavia,
poiché ci è stato insegnato a non insistere troppo sulla ricerca
dei significati, tanto che oggi è perfino raro che li si
cerchi davvero, salvo che nei casi relativi ai fenomeni più
semplici, più innocui. Si concluse perciò che, non essendo
possibile conoscere in assoluto il significato del pallone,
una discussione prolungata era inutile, o comunque meno
proficua, per esempio, dell’attività di coloro che, in
certe strade, appendevano lanterne di carta verdi e blu
sotto la tiepida pancia grigia del pallone oppure coglievano
l’occasione per scriverci sopra dei messaggi, dichiarandosi
disponibili per atti contro natura, o facendo presente
la disponibilità di certe loro conoscenze.
I ragazzini più intraprendenti ci saltavano sopra, specialmente
in quei punti dove il pallone era molto vicino a
un edificio, per cui la distanza tra pallone e edificio era
questione di pochi centimetri, o in punti in cui il pallone
veniva addirittura a contatto con l’edificio, esercitando
una leggerissima pressione contro un lato di esso, tanto
che pallone e edificio parevano una cosa sola. La superficie
superiore era sagomata in modo da presentare una
sorta di “paesaggio”: piccole valli come pure lievi pendii
o collinette. Giunti in cima al pallone, era possibile fare
una passeggiata, e perfino un viaggetto da una località all’altra.
Era gradevole correre giù per una discesa e poi su
per l’opposta salita, l’una e l’altra in dolce pendenza, oppure
spiccare un salto da un versante all’altro. Si rimbalzava
agevolmente, poiché la superficie era pneumatica, e
volendo ci si poteva anche lasciar cadere senza danno.
Che tutti questi vari movimenti, come anche altri, rientrassero
nell’ambito del possibile, nel corso dell’esplorazione
della parte alta del pallone, era cosa eccezionalmente
eccitante per i bambini, abituati alla superficie piatta e
dura della città: un’autentica festa. Ma lo scopo reale del
pallone non era quello di far divertire i bambini.
Inoltre, c’è da notare che il numero di quelli, adulti e
bambini,che approfittarono delle opportunità descritte
non fu poi così massiccio come avrebbe potuto essere: fu
rilevata una certa riluttanza, una certa diffidenza verso il
pallone. Ci fu perfino una qualche ostilità. Avendo noi celato
le pompe che iniettavano elio nell’interno, ed essendo
la superficie tanto vasta che le autorità non riuscirono
a localizzare il punto d’entrata – cioè il punto dove veniva
immesso il gas – si rilevò un certo grado di frustrazione
nei funzionari preposti alle zone più direttamente interessate
dal fenomeno. Irritante senza dubbio era l’apparente
mancanza di motivazione del pallone (come lo era il
fatto che esso si trovasse proprio “lì”). Se sulle fiancate
del pallone avessimo scritto a caratteri cubitali: “dimostrazioni
di prove di laboratorio” o anche: “più efficace del 18%” tale disagio sarebbe stato evitato.
Ma io non avevo affatto intenzione di farlo. Tutto sommato
bisogna ammettere che i funzionari di cui si è detto
furono assai tolleranti, considerando le dimensioni del
fatto anomalo; tale tolleranza era il risultato di: primo,
esperimenti segreti effettuati nottetempo che li avevano
convinti di come poco o nulla si potesse operare al fine di
rimuovere o distruggere il pallone; e, secondo, l’indubbio
calore (non privo di una certa ostilità, come si è detto
poc’anzi) dimostrato dai comuni cittadini nei riguardi del
pallone.
Poiché un singolo pallone è ampiamente sufficiente per
un’intera vita di meditazione sui palloni, ogni cittadino
espresse, nella presa di posizione da lui assunta, tutto un
complesso di prese di posizione. Vi fu forse chi identificò
il pallone con il concetto di oscurare, nel senso della frase:
Il grande pallone oscurò il cielo di Manhattan altrimenti
terso e radioso. Cioè, il pallone rappresentava, secondo il
convincimento di quella persona, una frode, un qualcosa
di inferiore rispetto al cielo che si trovava lassù in precedenza,
un elemento interposto tra la gente e il suo “cielo”.
Ma, in realtà, era gennaio, il cielo era buio e brutto; non
uno di quei cieli da guardare standosene comodamente
sdraiati a pancia all’aria per strada, e da guardare con
piacere, a meno che uno non provi piacere a essere minacciato,
e magari seviziato. Tanto più che la parte inferiore
del pallone era di gradevole effetto vista dal basso,
già si è notato, con i suoi grigi e i suoi marroni, alternati e
contrastati da morbidi gialli insoliti con sfumature brune.
E pertanto, benché quella persona fosse dominata dal
concetto di oscurare, ci doveva essere in lui indubbiamente
una sottile vena di piacere, in lotta con la sensazione
primigenia.
Una diversa persona, viceversa, forse includeva intimamente
il pallone in un insieme di gratificazioni non preventivate,
come quando il principale della ditta entra e ti
dice: “Ecco qua, Henry, ho messo insieme questo bel fascio
di banconote per te, perché stiamo andando a gonfie
vele, e io personalmente apprezzo moltissimo il tuo modo
di frantumare i tulipani, operazione senza la quale il tuo
reparto andrebbe male, o quanto meno non così bene come
va”. Per costui il pallone era forse un’esperienza di tipo
eroico, un “giorno da leoni”, anche se magari un’esperienza
male interpretata.
Un altro individuo poté forse osservare: “Senza il precedente
di... non si può affermare con certezza che... esisterebbe
nella sua forma attuale”, incontrando anche
molti consensi, e magari qualche dissenso. Vennero introdotti
i concetti di “gonfiore” e di “fluttuazione”, come
pure le idee di sogno e responsabilità. Altri s’addentraro
no in fantasie minuziosamente particolareggiate connesse
in fondo con il desiderio di perdersi nel pallone oppure
di divorarlo. La natura di tali desideri, sepolti in profondità
e di fatto ignorati, era talmente intima e personale
che quasi non se ne parlò. Eppure si dà per certo che ebbero
non piccola diffusione. Si sostenne anche che la cosa
più importante fosse quel che si provava stando sotto il
pallone: alcuni sostenevano di sentirsi al caldo e al sicuro
come mai in precedenza, mentre gli avversari del pallone
si sentivano, o asserivano di sentirsi, come schiacciati,
una sensazione di “pesantezza”.
Le opinioni critiche erano divise:
“colate mostruose”
“arpa”
XXXXXXX “certi contrasti con zone più scure”
“intima gioia”
“grandi angoli squadrati”
“L’eclettismo conservatore che ha sin qui dominato il design
dei palloni moderni”
: : : : : : : “vigore abnorme”
“passaggi soffici, caldi, indolenti”
“Si è forse sacrificata l’unità in favore di una discutibile qualità?”
“Quelle catastrophe!”
“ruminante”
La gente prese, particolare curioso, a indicare la propria
posizione facendo riferimento a certi settori del paldonald
lone: “Ti aspetto nel punto dove si abbassa sulla Quarantasettesima
Strada, fin quasi a toccare il marciapiede, proprio
vicino alla Alamo Chile House”, oppure: “Perché
non ce ne andiamo in cima a prendere una boccata d’aria,
e magari a fare anche due passi, lassù dove forma una linea
curva fino alla facciata della Galleria d’Arte Moderna...”
Entro periodi di tempo limitati, certe intersezioni
marginali creavano degli accessi, o anche “passaggi soffici,
caldi, indolenti”, nei quali... Ma è improprio parlare di
“intersezioni marginali”: ogni intersezione era cruciale,
nessuna poteva essere trascurata (visto che, passeggiando
nei paraggi, non si poteva fare a meno di notare qualcuno
capace di attirare su di sé l’attenzione esibendosi all’improvviso
in esercizi acrobatici sempre diversi, in scalate
rischiose e spettacolari). Ogni intersezione era cruciale,
fosse punto d’incontro fra pallone e edificio, punto d’incontro
fra pallone e uomo, o anche punto d’incontro fra
pallone e pallone.
Qualcuno avanzò l’ipotesi che forse, in definitiva, ciò
che più si ammirava, ciò che più stupiva nel pallone era la
sua peculiarità di non essere un’entità limitata, o in qualche
modo definita. A volte un gonfiore, una protuberanza
o una sottosezione qualsiasi si spingeva di propria iniziativa
per un bel tratto verso est, fino al fiume, in modo del
tutto analogo al movimento di un esercito su una mappa,
quale si può notare in un quartier generale assai lontano
dalla prima linea. Quindi quella stessa porzione, o sottosezione
qualsiasi avrebbe anche potuto, come in effetti
avveniva, venire ricacciata o magari ritirarsi di propria
iniziativa fino al punto di partenza e magari su nuove posizioni.
La mattina seguente quella stessa porzione poteva
avere assunto una nuova configurazione oppure essere
sparita del tutto. Questa facoltà del pallone di forgiarsi da
solo, mutando di continuo, era molto ammirata, soprattutto
da gente la cui vita aveva una struttura piuttosto rigida:
gente per la quale il cambiamento, per quanto desiderato,
non era certo a portata di mano. Il pallone, durante
i ventidue giorni della sua esistenza, consentì, nella
sua casualità, di far vagare liberalmente l’io di molti, in
contrapposizione con la rete di sentieri precisi, squadrati,
sotto i nostri piedi. Il cospicuo grado di specializzazione
ormai comunemente richiesto, e la conseguente preferenza
per impieghi a lungo termine, sono stati determinati
dall’importanza sempre crescente, virtualmente in ogni
tipo di lavorazione, di macchinari molto complessi. Col
crescere di tale tendenza, un numero sempre maggiore di
persone, tormentate da un penoso senso di inadeguatezza,
ricercherà soluzioni per le quali il pallone può venir
considerato come un prototipo, o “abbozzo”.
Ci incontrammo sotto il pallone, al tuo ritorno dalla
Norvegia. Mi chiedesti se era mio; ti risposi di sì. Il pallone,
dissi, è una spontanea apertura autobiografica, connessa
con il disagio da me provato in tua assenza, e con
l’astinenza sessuale, ma ora che il tuo soggiorno a Bergen
è terminato, esso non è più necessario e neppure pertinente.
Rimuovere il pallone non fu difficile: autofurgoni
con rimorchio portarono via il telone ormai sgonfio, che
ora giace in un magazzino nella West Virginia, in attesa di
un nuovo periodo d’infelicità. Un giorno, chissà, quando
io e te avremo litigato.
via_MINIMUMFAX
In seguito alla lettura di questo racconto, David Foster Wallace volle farsi scrittore, ma poi la letteratura lo uccise.
RispondiEliminaGiorgio