mercoledì 2 dicembre 2009

Atti innaturali, pratiche innominabili.


IL PALLONE

di Donald Barthelme


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Il pallone, dopo aver preso origine in un certo punto della

Quattordicesima Strada, la cui esatta posizione non

posso rivelare, si dilatò durante la notte verso nord, mentre

la gente dormiva, fino a raggiungere il Parco. Là lo feci

fermare; all’alba i bordi settentrionali stazionavano sopra

il Plaza; il movimento in sospensione libera era lieve e

gentile. Ma avvertendo un vago senso di disagio all’idea

che dovesse fermarsi, anche al fine di proteggere gli alberi,

e non essendoci inoltre alcuna ragione per cui al pallone

non fosse concesso di dilatarsi verso l’alto, sia pure su

quelle parti della città che già copriva, su verso lo “spazio

aereo” raggiungibile, dissi ai tecnici di provvedere in tal

senso. Questa ulteriore dilatazione ebbe luogo in mattinata,

leggero impercettibile sospirare di gas attraverso le

valvole. Il pallone arrivò quindi a coprire quarantacinque

isolati in direzione nord-sud e una zona irregolarmente

delimitata da est a ovest, perfino sei vasti isolati su entrambi

i lati dell’Avenue, in alcuni punti. Questa era la situazione,

allora.

Ma non è esatto parlare di “situazioni”, con ciò alludendo

a determinati complessi di circostanze che portano

a una certa soluzione, a un certo calo di tensione; non c’erano

situazioni vere e proprie, c’era semplicemente il pallone

sospeso lassù – toni spenti, grigi scuri e marroni più

che altro, contrastati da morbidi gialli dalle sfumature

brune. Una voluta mancanza di rifinitura, resa anche più

evidente dalla perfezione delle strutture portanti, dava alla

superficie un aspetto grezzo, quasi trasandato; all’interno

un sistema di pesi scorrevoli, calcolati al milligrammo,

ancorava la vasta massa multiforme a un certo numero

di postazioni fisse. Ora, è vero che ci sono state centinaia

di idee geniali per ogni tipo di mezzo espressivo,

opere di bellezza davvero singolare e allo stesso tempo

autentiche pietre miliari nel corso della storia del gonfiaggio,

ma in quel momento c’era solo quel pallone, concreto

specifico, sospeso lassù.

Ci furono delle reazioni. Alcune persone trovarono il

pallone “interessante”. Questa pareva reazione inadeguata

all’immensità del pallone, alla repentinità della sua

apparizione sulla città; d’altra parte, in assenza d’isterismo

collettivo o d’altra forma di agitazione sociopsicologica,

la si deve giudicare una reazione serena, “matura”.

Ci fu all’inizio una discussione non trascurabile intorno

al “significato” del pallone; si acquietò presto, tuttavia,

poiché ci è stato insegnato a non insistere troppo sulla ricerca

dei significati, tanto che oggi è perfino raro che li si

cerchi davvero, salvo che nei casi relativi ai fenomeni più

semplici, più innocui. Si concluse perciò che, non essendo

possibile conoscere in assoluto il significato del pallone,

una discussione prolungata era inutile, o comunque meno

proficua, per esempio, dell’attività di coloro che, in

certe strade, appendevano lanterne di carta verdi e blu

sotto la tiepida pancia grigia del pallone oppure coglievano

l’occasione per scriverci sopra dei messaggi, dichiarandosi

disponibili per atti contro natura, o facendo presente

la disponibilità di certe loro conoscenze.

I ragazzini più intraprendenti ci saltavano sopra, specialmente

in quei punti dove il pallone era molto vicino a

un edificio, per cui la distanza tra pallone e edificio era

questione di pochi centimetri, o in punti in cui il pallone

veniva addirittura a contatto con l’edificio, esercitando

una leggerissima pressione contro un lato di esso, tanto

che pallone e edificio parevano una cosa sola. La superficie

superiore era sagomata in modo da presentare una

sorta di “paesaggio”: piccole valli come pure lievi pendii

o collinette. Giunti in cima al pallone, era possibile fare

una passeggiata, e perfino un viaggetto da una località all’altra.

Era gradevole correre giù per una discesa e poi su

per l’opposta salita, l’una e l’altra in dolce pendenza, oppure

spiccare un salto da un versante all’altro. Si rimbalzava

agevolmente, poiché la superficie era pneumatica, e

volendo ci si poteva anche lasciar cadere senza danno.

Che tutti questi vari movimenti, come anche altri, rientrassero

nell’ambito del possibile, nel corso dell’esplorazione

della parte alta del pallone, era cosa eccezionalmente

eccitante per i bambini, abituati alla superficie piatta e

dura della città: un’autentica festa. Ma lo scopo reale del

pallone non era quello di far divertire i bambini.

Inoltre, c’è da notare che il numero di quelli, adulti e

bambini,che approfittarono delle opportunità descritte

non fu poi così massiccio come avrebbe potuto essere: fu

rilevata una certa riluttanza, una certa diffidenza verso il

pallone. Ci fu perfino una qualche ostilità. Avendo noi celato

le pompe che iniettavano elio nell’interno, ed essendo

la superficie tanto vasta che le autorità non riuscirono

a localizzare il punto d’entrata – cioè il punto dove veniva

immesso il gas – si rilevò un certo grado di frustrazione

nei funzionari preposti alle zone più direttamente interessate

dal fenomeno. Irritante senza dubbio era l’apparente

mancanza di motivazione del pallone (come lo era il

fatto che esso si trovasse proprio “lì”). Se sulle fiancate

del pallone avessimo scritto a caratteri cubitali: “dimostrazioni

di prove di laboratorio” o anche: “più efficace del 18%” tale disagio sarebbe stato evitato.

Ma io non avevo affatto intenzione di farlo. Tutto sommato

bisogna ammettere che i funzionari di cui si è detto

furono assai tolleranti, considerando le dimensioni del

fatto anomalo; tale tolleranza era il risultato di: primo,

esperimenti segreti effettuati nottetempo che li avevano

convinti di come poco o nulla si potesse operare al fine di

rimuovere o distruggere il pallone; e, secondo, l’indubbio

calore (non privo di una certa ostilità, come si è detto

poc’anzi) dimostrato dai comuni cittadini nei riguardi del

pallone.

Poiché un singolo pallone è ampiamente sufficiente per

un’intera vita di meditazione sui palloni, ogni cittadino

espresse, nella presa di posizione da lui assunta, tutto un

complesso di prese di posizione. Vi fu forse chi identificò

il pallone con il concetto di oscurare, nel senso della frase:

Il grande pallone oscurò il cielo di Manhattan altrimenti

terso e radioso. Cioè, il pallone rappresentava, secondo il

convincimento di quella persona, una frode, un qualcosa

di inferiore rispetto al cielo che si trovava lassù in precedenza,

un elemento interposto tra la gente e il suo “cielo”.

Ma, in realtà, era gennaio, il cielo era buio e brutto; non

uno di quei cieli da guardare standosene comodamente

sdraiati a pancia all’aria per strada, e da guardare con

piacere, a meno che uno non provi piacere a essere minacciato,

e magari seviziato. Tanto più che la parte inferiore

del pallone era di gradevole effetto vista dal basso,

già si è notato, con i suoi grigi e i suoi marroni, alternati e

contrastati da morbidi gialli insoliti con sfumature brune.

E pertanto, benché quella persona fosse dominata dal

concetto di oscurare, ci doveva essere in lui indubbiamente

una sottile vena di piacere, in lotta con la sensazione

primigenia.

Una diversa persona, viceversa, forse includeva intimamente

il pallone in un insieme di gratificazioni non preventivate,

come quando il principale della ditta entra e ti

dice: “Ecco qua, Henry, ho messo insieme questo bel fascio

di banconote per te, perché stiamo andando a gonfie

vele, e io personalmente apprezzo moltissimo il tuo modo

di frantumare i tulipani, operazione senza la quale il tuo

reparto andrebbe male, o quanto meno non così bene come

va”. Per costui il pallone era forse un’esperienza di tipo

eroico, un “giorno da leoni”, anche se magari un’esperienza

male interpretata.

Un altro individuo poté forse osservare: “Senza il precedente

di... non si può affermare con certezza che... esisterebbe

nella sua forma attuale”, incontrando anche

molti consensi, e magari qualche dissenso. Vennero introdotti

i concetti di “gonfiore” e di “fluttuazione”, come

pure le idee di sogno e responsabilità. Altri s’addentraro

no in fantasie minuziosamente particolareggiate connesse

in fondo con il desiderio di perdersi nel pallone oppure

di divorarlo. La natura di tali desideri, sepolti in profondità

e di fatto ignorati, era talmente intima e personale

che quasi non se ne parlò. Eppure si dà per certo che ebbero

non piccola diffusione. Si sostenne anche che la cosa

più importante fosse quel che si provava stando sotto il

pallone: alcuni sostenevano di sentirsi al caldo e al sicuro

come mai in precedenza, mentre gli avversari del pallone

si sentivano, o asserivano di sentirsi, come schiacciati,

una sensazione di “pesantezza”.

Le opinioni critiche erano divise:

“colate mostruose”

“arpa”

XXXXXXX “certi contrasti con zone più scure”

“intima gioia”

“grandi angoli squadrati”

“L’eclettismo conservatore che ha sin qui dominato il design

dei palloni moderni”

: : : : : : : “vigore abnorme”

“passaggi soffici, caldi, indolenti”

“Si è forse sacrificata l’unità in favore di una discutibile qualità?”

Quelle catastrophe!

“ruminante”

La gente prese, particolare curioso, a indicare la propria

posizione facendo riferimento a certi settori del paldonald

lone: “Ti aspetto nel punto dove si abbassa sulla Quarantasettesima

Strada, fin quasi a toccare il marciapiede, proprio

vicino alla Alamo Chile House”, oppure: “Perché

non ce ne andiamo in cima a prendere una boccata d’aria,

e magari a fare anche due passi, lassù dove forma una linea

curva fino alla facciata della Galleria d’Arte Moderna...”

Entro periodi di tempo limitati, certe intersezioni

marginali creavano degli accessi, o anche “passaggi soffici,

caldi, indolenti”, nei quali... Ma è improprio parlare di

“intersezioni marginali”: ogni intersezione era cruciale,

nessuna poteva essere trascurata (visto che, passeggiando

nei paraggi, non si poteva fare a meno di notare qualcuno

capace di attirare su di sé l’attenzione esibendosi all’improvviso

in esercizi acrobatici sempre diversi, in scalate

rischiose e spettacolari). Ogni intersezione era cruciale,

fosse punto d’incontro fra pallone e edificio, punto d’incontro

fra pallone e uomo, o anche punto d’incontro fra

pallone e pallone.

Qualcuno avanzò l’ipotesi che forse, in definitiva, ciò

che più si ammirava, ciò che più stupiva nel pallone era la

sua peculiarità di non essere un’entità limitata, o in qualche

modo definita. A volte un gonfiore, una protuberanza

o una sottosezione qualsiasi si spingeva di propria iniziativa

per un bel tratto verso est, fino al fiume, in modo del

tutto analogo al movimento di un esercito su una mappa,

quale si può notare in un quartier generale assai lontano

dalla prima linea. Quindi quella stessa porzione, o sottosezione

qualsiasi avrebbe anche potuto, come in effetti

avveniva, venire ricacciata o magari ritirarsi di propria

iniziativa fino al punto di partenza e magari su nuove posizioni.

La mattina seguente quella stessa porzione poteva

avere assunto una nuova configurazione oppure essere

sparita del tutto. Questa facoltà del pallone di forgiarsi da

solo, mutando di continuo, era molto ammirata, soprattutto

da gente la cui vita aveva una struttura piuttosto rigida:

gente per la quale il cambiamento, per quanto desiderato,

non era certo a portata di mano. Il pallone, durante

i ventidue giorni della sua esistenza, consentì, nella

sua casualità, di far vagare liberalmente l’io di molti, in

contrapposizione con la rete di sentieri precisi, squadrati,

sotto i nostri piedi. Il cospicuo grado di specializzazione

ormai comunemente richiesto, e la conseguente preferenza

per impieghi a lungo termine, sono stati determinati

dall’importanza sempre crescente, virtualmente in ogni

tipo di lavorazione, di macchinari molto complessi. Col

crescere di tale tendenza, un numero sempre maggiore di

persone, tormentate da un penoso senso di inadeguatezza,

ricercherà soluzioni per le quali il pallone può venir

considerato come un prototipo, o “abbozzo”.

Ci incontrammo sotto il pallone, al tuo ritorno dalla

Norvegia. Mi chiedesti se era mio; ti risposi di sì. Il pallone,

dissi, è una spontanea apertura autobiografica, connessa

con il disagio da me provato in tua assenza, e con

l’astinenza sessuale, ma ora che il tuo soggiorno a Bergen

è terminato, esso non è più necessario e neppure pertinente.

Rimuovere il pallone non fu difficile: autofurgoni

con rimorchio portarono via il telone ormai sgonfio, che

ora giace in un magazzino nella West Virginia, in attesa di

un nuovo periodo d’infelicità. Un giorno, chissà, quando

io e te avremo litigato.


via_MINIMUMFAX

1 commento:

  1. In seguito alla lettura di questo racconto, David Foster Wallace volle farsi scrittore, ma poi la letteratura lo uccise.

    Giorgio

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